Tra attivismo e voglia di iniziare a programmare il futuro, intervista a Paolo Gubbi, coordinatore della Consulta per la Pace di Jesi.
In primis, e in sintesi, che cosa è e come funziona la Consulta?
La Consulta per la pace è un Istituto di partecipazione del Comune di Jesi, ha celebrato i 20 anni di attività nel 2019. Il suo compito è quello di diffondere la cultura della pace e della solidarietà fra la cittadinanza, organizzando eventi come la “Giornata della pace” del 6 gennaio in cui, al mattino, si lanciano i palloncini con il messaggio di pace degli studenti delle scuole primarie e nel pomeriggio c’è un convegno con ospiti che sono testimoni dei temi di cui si occupa la Consulta. Attualmente ne fanno parte 30 associazioni di volontariato, comprese quelle di religione islamica.
Il Covid 19 e le associazioni come le conosce lei nella Consulta: che relazioni si sono innescate fra queste due realtà dell’oggi?
Viviamo un momento surreale, dove in poco tempo si è fermato tutto, dove in poche settimane abbiamo dovuto cambiare abitudini quotidiane che praticavamo da sempre. Possi affermare, però, che nonostante tutto questo non si è fermata la macchina della solidarietà e dell’attivismo delle associazioni, anzi, alcune di esse hanno aumentato il loro intervento verso la comunità. Certo, sono più visibili le associazioni direttamente coinvolte sul campo, come la Croce Rossa, la Caritas, l’A.D.R.A. , l’Avis ma anche le altre sono impegnate in attività di vero aiuto a persone od enti che ne hanno bisogno.
Intervista a Francesco Luminari, presidente dell’associazione Tenda Di Abramo di Falconara Marittima (An), che dal 1990 si occupa dell’accoglienza di persone senza fissa dimora e di sensibilizzazione sui temi della povertà e dell’esclusione sociale.
Da quasi 2 mesi è entrato di forza nelle nostre vite il mantra\monito #iorestoacasa: vi raccontiamo questo periodo dall’osservatorio di una realtà volontaristica che opera 365 giorni l’anno al servizio dei cosiddetti invisibili, “per non arrendersi alle cose così come sono”.
Come è cambiato il servizio dell’Associazione Tenda di Abramo dall’entrata in vigore delle restrizioni dovute al Covid-19?
Riepilogo le “mutazioni” che l’attività associativa ha dovuto seguire per far fronte all’emergenza sanitaria cercando di mantenere contemporaneamente presidiati i principali binari che la caratterizzano: accoglienza delle persone senza dimora; stimolo e collaborazione con enti locali; cultura e promozione dell’accoglienza per il territorio. Da metà febbraio – proprio mentre eravamo, dopo mesi di preparazione, alla fase finale di organizzazione delle celebrazioni previste per il trentennale dell’Associazione, programmate per metà di marzo… – abbiamo adottato le prime precauzioni per cercare di garantire un servizio sicuro all’interno della casa di prima accoglienza in Via Flaminia, 589.
Si è iniziato dalla riduzione del numero di volontari presenti per turno (per scelta o presa d’atto in quanto, per ovvi motivi, da fine febbraio le disponibilità a garantire la presenza diminuivano progressivamente) arrivando in breve al “blocco” dei nuovi ingressi, misura presa da tutte le case di accoglienza della regione. Successivamente si è garantita una distanza minima fra i tavoli e gli ospiti in refettorio per la cena, fino alla riduzione degli ospiti per ogni camera e la disinfezione dei locali, precauzionalmente fatta fare da una ditta esterna la mattina del 9 marzo.
Purtroppo alla fine è risultato impossibile continuare, non riuscendo più a mantenere allo stesso tempo un livello minimo di serenità per gli ospiti e i volontari che si succedevano nei turni. Da sabato 14 marzo, l’attività quotidiana ordinaria presso la casa di accoglienza di Via Flaminia 589 è stata ”sospesa”.
Grazie all’intuizione di alcuni consiglieri e volontari, da quella mattina l’attività associativa è continuata senza interruzione. Su canali e con modalità diverse la cura e l’accoglienza dei nostri ospiti sono proseguite. Seguendo l’idea di Giuseppe e Stefano, grazie all’impegno e all’esperienza di Chiara (la nostra operatrice del segretariato sociale) e attraverso una modalità di confronto intenso si è scelto di cercare alloggi alle 4 persone che erano in Tenda alla data della sospensione e nei giorni successivi anche ad altre persone, segnalate da associazioni e parrocchie. Arrivando così a 10 persone a cui stiamo garantendo, da settimane, un alloggio.
Silvano Sbarbati, a nome del Coordinamento delle AdV e APS, riprende e sviluppa alcuni sputi ricavati dalla lettura dell’ultimo numero del quindicinale di informazione “Jesi e la sua Valle”.
La ben costruita intervista di Matteo Tarabelli al sindaco di Jesi Massimo Bacci porta un titolo che richiama una idea che in queste settimane si è molto diffusa, forse perché convincente: “Nulla sarà come prima”. E poi un sottotitolo dove il sindaco dice testualmente (tra virgolette): “Questa emergenza ci ha cambiato, non sarà semplice ripartire, ma stiamo riscoprendo il senso di comunità”. Ora, chi abbia interesse per l’argomento può accedere all’ultimo fascicolo di Jesi e la sua Valle del 25 aprile, alle pagine 12 e 13.
Qui, nel contesto proprio del mondo del volontariato, vorrei cercare di approfondire quanto emerge dalle dichiarazioni del sindaco che, alla domanda su ciò che di positivo ha vissuto in queste settimane di emergenza Covid 19, definisce il volontariato (dentro il contesto del Terzo Settore) come un “gigantesco patrimonio che abbiamo fra le mani”. Dopo averlo ringraziato per il coraggio e il determinante contributo, Bacci anticipa pure che con l’assessore Marialuisa Quaglieri sta “valutando interventi per valorizzare ulteriormente questa rete di reciproco aiuto, con l’obiettivo di non disperdere uno dei pilastri più vigorosi di questo territorio”.
Dunque: volontariato come “gigantesco patrimonio” e impegno del Comune per “valorizzare e non disperdere questo pilastro vigoroso del territorio”.
Le due metafore sono suggestive e di forte impatto comunicativo. Pensare al volontariato come patrimonio rimanda ad una ricchezza; e qui vorremmo riuscire a capire di che cosa sia fatta questa ricchezza. Non di denaro, certo, né di poteri istituzionali, né di strumentazione. Forse di “capitale umano”, usando una brutta metafora che rimanda alla fabbrica. Certo, il volontariato è una ricchezza di disponibilità, di attenzioni, di cura proprie di persone verso altre persone. Dunque volontariato come patrimonio, come giacimento di umanità.
Ci voleva il Covid 19 e le sofferenze derivanti per “riscoprire” questo elemento che è collante di ogni comunità. Lo sottolinea il sindaco, nelle sue dichiarazioni e possiamo soltanto condividere, sottolineando tuttavia che se un senso di comunità è stato “riscoperto” vuol dire che esisteva, pur sottotraccia , pur se velato da altri valori meno sostanziali.
Ecco: quando si afferma che “nulla sarà come prima” vorremmo che quel nulla – che richiama il vuoto – venisse riempito di cose, di concreti riferimenti a cui indirizzare il fare del dopo… Proviamo a fare un elenco?
Togliere il “velo oscurante” che ha coperto la capacità del volontariato di fare comunità, accreditandolo tra i soggetti di riferimento delle scelte fondamentali per la città e il territorio;
Riposizionarlo all’interno delle priorità del bilancio comunale;
Fare chiarezza istituzionale sull’associazionismo e le sue diverse nature rispetto al volontariato in ambito locale, nell’alveo della nuova legge sul Terzo Settore;
Dare attenzione costante ai bisogni espressi dal volontariato, compreso quello di formazione per aumentarne la capacità di capire e agire a favore della propria comunità;
Alfabetizzare e sensibilizzare le istituzioni pubbliche perché interpretino meglio i desideri del volontariato (tutto intero, in tutte le sue forme di intervento) senza settorializzarli negli ambiti di ciascuna associazione, ma integrandoli – finalmente e concretamente – nella logica di rete.
Il tempo-Covid 19 permette – tra le molte altre cose che invece limita – di tessere relazioni di riflessione usando ritmi meno convulsi. In questo senso abbiamo approfittato di Massimiliano Colombi, il sociologo che ha collaborato con noi nel progetto “Una pedagogia per il volontariato” svoltosi quasi un anno fa a Jesi nell’ambito del Festival Volontarja, ponendogli alcune domande, avendo come centro di interesse la formazione per il Terzo Settore. Colombi, attraverso il suo ambito professionale ha maturato una particolare competenza nel settore del volontariato e nelle dinamiche di formazione ad esso connesse, ed è docente tra l’altro presso l’ Istituto Teologico Marchigiano.
Prof. Colombi, che cosa pensa di questo tempo-Covid 19?
Abitiamo un tempo che spinge a ritrovarsi con modalità inedite, e in questo il mondo del volontariato dimostra una tenacia incredibile, un valore aggiunto prezioso per le nostre comunità. Abitare con consapevolezza questo tempo significa lasciarsi interrogare dal “durante”, senza cedere ad una logica del “prima” e del “dopo”. Anche perché molti segnali ci dicono che il cosiddetto “dopo”, ad esempio la “fase 2”, assomiglierà molto di più al “durante” che stiamo vivendo, piuttosto che al “prima” che abbiamo vissuto.
In questa prospettiva si può maturare una postura di “fronteggiamento”, alternativa alla fuga. Occorre dirsi reciprocamente “chi sei?” e soprattutto “ci sei?”. In altre parole può voler dire impegnarsi in un lavoro di ristrutturazione della convivenza umana, avendo una preoccupazione costante per la cura della propria vita in connessione con le vite altre e di altri.
Siamo in una crisi dai contorni e dagli orizzonti particolarmente frastagliati e nebulosi, dunque?
Credo di sì, non conosciamo tutto e siamo obbligati a non smettere di conoscere. Più conosciamo e più siamo chiamati ad accettare la parzialità . Abbiamo poche informazioni solide e tante incertezze. Abbiamo però una certezza: non siamo soli e possiamo sostenerci nella ricerca. Come ci insegna Arturo Paoli, solo “camminando s’apre cammino”. E qui vorrei introdurre un elemento importante: la crisi non seleziona sempre i migliori, ma spesso e volentieri resiste chi dispone di una rendita di posizione. Al contrario le realtà più innovative e più fragili, maggiormente esposte alle criticità rischiano di soccombere. Occorre aver cura dei germogli e non solo delle piante secolari.
In questo senso quanto diventa importante attivare una narrazione della esperienza da cui poter apprendere e che consenta di sviluppare un humus utile per far crescere nuove piante, nuove realtà del volontariato, inedite forme di convivenza. La narrazione può essere fatta da chiunque ha a cuore e ha cura delle persone e delle comunità, che parta dal radicamento nella storia feriale, in grado di porre attenzione a ciò che accade a livello micro (livello personale), macro (la Società) ma anche meso (la Comunità). È necessario un lavoro da “cercatori d’oro” rispetto a disponibilità individuali e comunitarie, per poterle riconoscere e valorizzare.
Se dovesse descrivere con una metafora il momento che stiamo vivendo…?
Siamo in Esodo, come scrive il pedagogista Ivo Lizzola, non da soli ma in Carovana, legati gli uni agli altri. Un grandissimo paradosso. Non è vero che siamo “sospesi” e in attesa di una ripartenza. Nessuno di noi è stato congelato e ognuno continua a vivere. Restiamo in viaggio. Alcune terre assomiglieranno alle solite terre, altre saranno invece terre insolite. Alcune mappe ci aiuteranno a proseguire il viaggio, mentre altre, a fronte dei cambiamenti intercorsi, ci porteranno fuori strada. Di alcuni territori dovremo disegnare le mappe, saremo esploratori. Non siamo in pausa. Stiamo vivendo, perché siamo vivi. Per questo sentiamo il dolore delle tante morti senza commiato, avvertiamo la paura per un tempo incerto e conserviamo la fiducia che non siamo all’ultima pagina. Continuare ad abitare significa continuare a vivere.
Le Marche del volontariato, tra “zone rosse”, evoluzioni e formazione necessarie per costruire nuovi modelli di cittadinanza attiva: intervista a Daniele Tassi, presidente di Odòs Società Cooperativa, Consigliere Nazionale Centro Sportivo Italiano, componente direttivo di CSV Marche e consigliere della Fondazione Vallesina Aiuta.
Cosa è successo al mondo del volontariato locale in questo periodo di crisi dovuto al COVID-19?
Mi sembra importante, come marchigiano, provare a dare una lettura su due emergenze differenti che hanno coinvolto direttamente la nostra regione in questi anni e di come anche il volontariato è stato coinvolto in modo diverso da questi eventi.
La nostra regione, nel giro di pochi anni, ha sperimentato due diverse modalità di vivere le “zone rosse”.
Stare nella zona rossa del terremoto del 2016 ha costretto per diverso tempo a stare fuori di casa per la nostra sicurezza. Questo ci ha consentito di riscoprire la comunità e le relazioni come risorsa positiva per superare la fragilità generata dal trauma terremoto.
La zona rossa imposta per l’emergenza da COVID-19, ci costringe a stare dentro le nostre case per la nostra sicurezza e quella degli altri. Questa modalità, a differenza della precedente, ci porta ad essere separati dal mondo, dalla comunità e dalle nostre relazioni sociali quotidiane.
La zona rossa da COVID-19, a differenza della prima, ha limitato fortemente l’attività e la presenza sul nostro territorio delle tante associazioni e volontari che svolgevano quotidianamente un’importante funzione di sostegno, cura, coesione sociale, assistenza, impegno e cittadinanza attiva. Durante l’emergenza del terremoto, invece, si sono moltiplicate le attività e la presenza di associazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale nelle zone colpite dal sisma.
Di fatto è stato limitato fortemente l’elemento essenziale del volontariato, ossia la presenza accanto alle persone. Proprio perché il veicolo del contagio è la vicinanza tra le persone.
Cosa può fare il volontariato in questo momento di emergenza? Come attivarsi pur dovendo stare a casa?
Come dicevo sopra, il cuore del volontariato sono i volontari. Il capitale umano, rappresentato dai volontari, è il veicolo propulsivo e moltiplicativo dell’azione delle associazioni di volontariato. Non possiamo aspettare il dopo in modo passivo, ma dobbiamo continuare a essere attivi anche durante la crisi. Da una parte, cercando di capire come continuare a coltivare la nostra vocazione di volontari anche in questa fase di restrizione, dall’altra utilizzando questo momento di pausa per curare la nostra formazione personale come volontari.
Al dott. Carlo Bellocchi – a capo dell’esecutivo del Coordinamento delle Ass. di Volontariato e Promozione Sociale dell’Ambito n.9 – abbiamo rivolto alcune domande circa i recenti sviluppi di una “lettera aperta” rivolta dal Coordinamento ai consiglieri regionali del territorio, a cui hanno fatto seguito i consiglieri Giancarli e Pergolesi .
La risposta è stata soddisfacente?
I consiglieri Giancarli e Pergolesi hanno risposto con rapidità, mostrando una sensibilità che fa molto piacere. Come soddisfa constatare che le nostre riflessioni e i nostri stimoli espressi attraverso la pagina social e il nostro sito abbiano trovato sponda attenta a livello istituzionale in un periodo convulso e drammatico della nostra vita sociale.
Si riferisce in particolare…?
Al consigliere comunale di Jesi, Tommaso Cioncolini, il quale riprendendo un nostro contributo di riflessione su questi momenti, ha ribadito, tra l’altro, come sia urgente dare forma e concreta attuazione al progetto di un’Alta Scuola di Formazione per il Volontariato. E proprio a Jesi, che vanta la primogenitura dell’idea e di avere sul territorio risorse e strutture già pronte ed adeguate.
E accanto a ciò?
…all’assessore del Comune di Jesi, M.Luisa Quaglieri che, nella intervista che ci ha rilasciato e appena diffusa sulla nostra pagina Facebook, ha aperto un canale quanto mai importante di ascolto e di scambio con il mondo del volontariato con la proposta della attivazione di tavoli di concertazione settoriali. Il Coordinamento è pronto da tempo, e rimane in attesa della sua messa in funzione.
A livello istituzionale più ampio?
La Regione Marche – per quanto affermato dai consiglieri Giancarli e Pergolesi – può diventare una protagonista portatrice di novità e attivare i suoi interventi legislativi e di finanziamento, recependo le istanze che i territori di riferimento stanno elaborando con grande sforzo e senso di responsabilità. Per esempio, me lo faccia dire con la speranza di essere ascoltato, portando avanti il progetto dell’Alta Scuola di Formazione per il Volontariato, il cui percorso già da mesi è stato avviato in fase di ideazione assieme al CSV Marche.
Non fermiamo questa spinta dal basso con i tempi lunghi che, ormai lo abbiamo capito tutti, sono portatori del… virus delle mancate risposte ai bisogni di solidarietà vera, a cui tutti oggi guardano come l’unico valore aggiunto di ogni comunità.
🗣Per continuare ad arricchire il dibattito sul presente e futuro delle nostre “comunità volontarie”, abbiamo contattato Marialuisa Quaglieri, Assessore ai Servizi Sociali e Sanità del Comune di Jesi, in questi giorni impegnata su molti fronti: la ringraziamo per averci risposto con sollecitudine e per il suo intervento, di cui sottolineiamo la significatività.
In estrema sintesi: che cosa ci dice questa crisi del Coronavirus?
La crisi ci ha messo alla prova e devo dire con orgoglio che la “rete” di cui spesso ci riempiamo la bocca qui c’è. È una rete solida e a maglie strette. Chi autonomamente, chi rapportandosi in coordinamento con il Comune, tutti si sono dimostrati pronti e non si sono tirati indietro. Una dimostrazione di come il terzo settore sia fondamentale come supporto alla comunità.
Dal suo punto di vista, come reagisce il corpo sociale alle difficoltà, alle ansie, alle sofferenze che sta vivendo giorno per giorno?
Se per corpo sociale intendiamo tutte quelle componenti che ruotano attorno al welfare ampiamente inteso, ebbene credo che il corpo sociale abbia fatto emergere la sua innata resilienza. Che è quella di affrontare i cambiamenti adattando la propria azione in relazione al fabbisogno sociale, per aiutare ad affrontare le difficoltà, a superare le ansie, a lenire e sofferenze. È un lungo elenco di iniziative quelle intraprese per dare sostegno alla collettività, in particolare ai soggetti più fragili: penso alla spesa sospesa, alla raccolta fondi, alla consegna a domicilio di farmaci, della spesa e dei beni di prima necessità, allo straordinario lavoro che stanno svolgendo le associazioni impegnate ad assicurare un pasto a chi oggi si trova in una condizioni di povertà improvvisa, speriamo temporanea, che va ad aggiungersi ad una platea purtroppo già ricca.
Quali possono essere le linee-guida per orientare il futuro del lavoro del volontariato?
Il futuro è incerto sotto tutti i punti di vista: di sicuro alla crisi sanitaria sta seguendo una crisi sociale e noi dovremo essere pronti. Il Comune, a cui credo spetti il ruolo istituzionale di cabina di regia, istituirà tavoli permanenti per affrontare i problemi propri di ogni singola associazione e quelli che le associazioni, da sole o unite, dovranno affrontare per verificare e per colmare le nuove carenze che si registreranno sul territori. Probabilmente la “mission” di qualche associazione dovrà adattarsi alle nuove esigenze che si presenteranno. Ma sono sicura, e questa crisi di Coronavirus ce l’ha dimostrato, che le associazioni sono pronte e reattive per affrontare qualsiasi problematica.
Scriviamo una lettera aperta perché i valori aggiunti a cui fa riferimento il volontariato si alimentano delle aperture alla comunità in tutti gli ambiti, compreso quello della politica e delle istituzioni.
Il momento che viviamo è drammatico e impegnativo e sentiamo dappertutto spendere la parola “solidarietà” come fosse una moneta di gran pregio. Questa moneta il volontariato la usa da sempre e siamo felici che sia diventata adesso quella più importante da poter spendere.
Sappiamo anche che il volontariato nel nostro Paese e nella nostra Regione è una realtà radicata nelle comunità, salda e persistente. Per questo sentiamo forte il bisogno, oggi, di ascoltare la voce di chi rappresenta il territorio e dunque rappresenta anche il “territorio della solidarietà nel volontariato”. Questa voce è quella dei rappresentanti nel governo regionale, che ha in primis la responsabilità della sanità pubblica, dalla quale ci aspettiamo le migliori risposte possibili a questa crisi.
In mezzo a tanto chiacchiericcio, alla ostentazione di tante competenze, al fiume torrenziale di dati e statistiche, di anticipazioni premature, di cerimoniali e di una retorica spesso stucchevole, il volontariato che lavora si aspetta (perché sente di meritarlo) un rapporto più ravvicinato, meno mediato con la “voce” dei propri rappresentanti locali.
Senza dover chiedere, ma al contrario ricevendo notizie, riflessioni, pensiero condiviso su scelte e su problemi che aspettano soluzioni equilibrate e misurate sui “valori aggiunti” dalla solidarietà. In un mondo che tiene le distanze per evitare il contagio, ci pare importante tuttavia sforzarsi di mantenere la vicinanza, magari usando i mezzi che la tecnologia ci ha fornito e che anche noi, volontaristicamente, abbiamo imparato ad usare in modo solidale.
Ecco, questo ci pare poter essere il modo migliore per scrivere Cambiamento con la lettera maiuscola.
Arricchiamo l’analisi partecipata di questo periodo di emergenza grazie al contributo del nostro secondo “portatore di interesse”: vi presentiamo il punto di vista di StefanoSquadroni, Presidente di Arci Servizio Civile di Jesi, dal suo osservatorio personale e di operatore del Terzo Settore.
Come vive questa situazione straordinaria della vita come giovane operatore del Terzo Settore e come giovane padre?
Il “giovane” operatore del Terzo Settore vive l’esperienza Covid-19 come momentaneo spettatore. Per ora studio il problema e il comportamento \bisogno delle persone perché credo che questo sia l’unico modo per intercettare futuri bisogni individuali e collettivi. Poi cerco di non farmi coinvolgere emotivamente dalla drammaticità dei servizi televisivi, perché credo che siano inutili siparietti offensivi per chi perde i suoi cari.
Stare in casa non mi pesa, da anni lavoro anche in modalità “smart working” in associazione. Da “giovane” padre, in questo momento mi sento un privilegiato, mio figlio ha solo nove mesi e sono ancora fuori dai meccanismi burocratici della didattica online e dalle richieste del tipo “andiamo a giocare al parco con gli amici?”. Da quando sono uscite le prime restrizioni le ho subito seguite, ma ho comunque sempre continuato a svolgere attività motoria nel rispetto mio e degli altri, pochi minuti al giorno, da solo o spingendo la carrozzina di mio figlio intorno casa e senza incontrare nessuno. Mai mi sono permesso di fermarmi a chiacchierare con qualcuno che conoscevo. Purtroppo eravamo in pochi a fare questo… e si è visto, perché hanno poi ristretto di brutto le direttive: vedi la chiusura dei parchi ecc. Adesso però la personalissima interpretazione delle norme da seguire, da parte di qualche zelante individuo – leggo di persone fermate che andavano a spasso pur dovendo stare in quarantena – sta penalizzando di molto la qualità della vita dei più fragili: bambini, anziani, persone con disturbi psichici, ecc.
Come si informa e come forma la propria opinione sui fatti che accadono?
Dal confronto con le persone, dai social e dai giornali, in questo momento percepisco tanto malessere…forse perché conosco tanta gente, e credo che non si siano valutati fino in fondo i danni collaterali di questo improvviso confinamento in casa. “Secondo la letteratura scientifica oltre il 50% di chi vive in isolamento poi sviluppa disturbi emotivi che incidono significativamente sulla risposta fisica al virus”: queste parole sono di Fabrizio Starace, presidente della Società italiana Epidemiologia psichiatrica (Siep) intervenuto in uno dei primi incontri sul Covid-19 promossi dall’Associazione Luca Coscioni su Facebook.
Vivere nello stato di continua emergenza aiuta o soffoca la progettualità per il futuro?
Entrambe… ma con procedure diverse. In principio c’è il soffocamento: di per sé una situazione di “emergenza” e quindi di “stress”, ci pone subito in contatto con la nostra parte più istintiva legata alla sopravvivenza. Metterci al riparo e trovare le misure di contenimento sono le uniche risorse a nostra disposizione, almeno nell’immediato. Conteniamo, “non respiriamo”… soffochiamo. Poi c’è la conseguente liberazione delle endorfine e c’è la presa di coscienza che nulla tornerà come prima, almeno nell’immediato… e allora?! Secondo il modesto parere di un “giovane”, quanto è successo non lascerà indenne la nuova riforma del Terzo Settore. Se in principio c’era il bisogno di far emergere una realtà, quella del TS, tenuta ai margini del welfare italiano, confinata insieme a quegli ultimi di cui spesso si occupa, da oggi cambia tutto.
Oggi, per citare un libricino di Gianmario Missaglia, storico Presidente UISP scomparso nel 2002, il “Terzo è il Primo”, ed indietro non si torna. Prima c’erano tesi che sostenevano il forte impatto di tenuta sociale che il volontariato aveva in Italia perché è difficile o miope (dipende da chi guarda) confutare il ritorno dei benefit “economici e sociali” dalle attività svolte dalle Associazioni: adesso invece lo vede e ne è consapevole persino il singolo volontario. In Italia il volontariato “puro” è quasi sempre accostato a strutture di stampo cattolico – nulla di male ci mancherebbe – che però alimenta quel simbolismo o archetipo collettivo che il sostegno viene sempre da una certa comunità che ha dei precisi valori, delle specifiche credenze e pratica una pietas longeva di duemila anni in perfetto stile pop. E’ così che poi, al cambiar dei tempi, ci si trova costretti a organizzare incontri, seminari… Volontarja per intenderci, perché non siamo mai stati educati ad essere parte integrante della più grande delle comunità, quella umana. Per ritornare al “come” cambierà questo TS, mi riservo ancora qualche giorno prima di fare qualche pronostico, anche perché è a questo prossimo futuro che sta pensando oggi un “giovane” dirigente del TS. Quindi in parte vi ho risposto. Anche se i problemi imminenti sono troppi, credo che sarà proprio grazie a queste molteplici complessità che si arriverà a delineare strategie innovative e durature di welfare sociale.