Vecchio ospedale, nuova questione…

Silvano Sbarbati propone una riflessione nuova su un tema caro al Coordinamento, ovvero il futuro del vecchio ospedale di Jesi. Con l’auspicio che il graduale rientro alla “normalità” ravvivi il sano e naturale dibattito, esercizio di una cittadinanza attiva.

In questi ultimi giorni sono apparse sulla stampa e sui social due interventi: il sindaco di Jesi Massimo Bacci ha rilanciato con forza e molta decisione la proposta di trasformare in RSA (Residenza Sociale Assistita)  il vecchio ospedale Murri. Da parte sua, il consigliere comunale Samuele  Animali ha rimesso al centro della attenzione l’utilizzo dell’ospedale di viale della Vittoria, una volta abbattuto (e sul  quando l’Asur non ne dà ancora certezza). 

Sulla RSA il mondo del volontariato esprime la propria convinta adesione alla idea del sindaco: non è una posizione aprioristica ma è dettata dalla convinta idea che la proposta abbia una profonda rispondenza nei confronti della comunità del nostro territorio, senza fughe in avanti e con grande concretezza realizzativa. E lo diciamo in nome della sensibilità e della operatività che il volontariato mette in opera da sempre nei confronti della popolazione più fragile, come quella anziana.

Sulle idee che Animali mette in campo per il futuro del vecchio ospedale di viale della Vittoria e dell’ospedale monumentale di corso Matteotti, il Coordinamento rivendica un piccolo merito: di aver messo in evidenza questo problema per primo, con un convegno organizzato tre anni fa circa e ripetuto con un altro evento un anno dopo. 

Allora si chiedeva alla città e al territorio di cominciare a pensare, di cominciare a cercare idee su che cosa fare e su che cosa debba diventare questa area e questa struttura. Non entriamo nel merito delle  proposte avanzate da Animali, chè questa non è la sede. Ma qui vorremmo esprimere soddisfazione per questo avvio di dibattito pubblico, augurandoci che possa proseguire nelle sedi più opportune e con  esiti concreti e soprattutto in armonia con la realtà di tutta la comunità jesina e del territorio di riferimento. Inoltre vorremmo che in ogni fase del dibattito e nei momenti delle scelte il volontariato, nelle forme e nei modi da discutere, venga ascoltato. Perché la solidarietà ( che va di moda citare come valore aggiunto proprio del volontariato) non si può sospendere in quanto esercizio di condivisione e di cittadinanza attiva. Siccome viviamo tempi di emergenza, e si dice che nulla sarà come prima, non vorremmo che, nel “dopo” tutto fosse uguale  e dunque ancora peggio.



Se il mondo intero pare divenuto una prigione

“Qua dentro, là fuori…”. Là dentro, qua fuori. Il contributo di Samuele Animali, del Direttivo Antigone Marche ci aiuta a completare lo sguardo sulla nostra realtà e le sue complessità in tempo di pandemia.

  • Pᴇʀᴄʜᴇ́ ᴘʀᴏᴘʀɪᴏ ɪʟ ᴄᴀʀᴄᴇʀᴇ.

Il carcere è per definizione un luogo fuori dal mondo. Eppure se vuoi capire il mondo devi andare in carcere. Proprio come gli archeologi trovano i reperti più interessanti nei cimiteri e negli immondezzai, così il carcere è, per tanti versi, la discarica della società.
Il carcere è lo specchio deformato del mondo. Le persone che lo popolano sono spogliate di ogni dignità e di ogni autonomia. Rappresenta l’anello più fragile della nostra società per quanto riguarda i diritti civili ed tra i punti di emersione principali delle tensioni che l’attraversano. Qui le cose accadono prima e producono effetti peggiori.

  • Cʜᴇ ᴄᴏsᴀ sᴜᴄᴄᴇᴅᴇ ᴄᴏɴ ɪʟ ʟᴏᴄᴋᴅᴏᴡɴ.

Nulla, verrebbe da dire. Per i detenuti il confinamento è a condizione normale. Senonché il nostro lockdown presuppone una casa “comoda”, e quindi mette maggiormente in difficoltà i senza dimora, i minori in comunità, i richiedenti asilo, e anche i detenuti. Se il mondo intero pare divenuto una prigione, le prigioni vere sono diventate inferno. Il sovraffollamento delle prigioni produce normalmente disagio, ma la preoccupazione per il Covid-19, assieme alla sospensione delle visite imposta dall’amministrazione penitenziaria (potendo far poco altro), nel mese di marzo ha innescato proteste e rivolte. Numerosi detenuti sono morti (13), in alcuni casi per cause ufficialmente ancora non definite.

  • Aɴᴛɪɢᴏɴᴇ.

Assieme alle visite è stata sospesa gioco-forza anche l’attività delle associazioni all’interno degli istituti. Antigone in particolare è un’associazione nazionale che si occupa di tutela dei diritti civili, prestando un supporto di carattere giuridico, amministrativo, sanitario. Non è necessario un gran numero di soci attivi, avere a che fare con il carcere è un’esperienza molto particolare all’inizio, occorrono una forte motivazione ed anche una preparazione specifica, che si acquisisce solo con l’esperienza o potendo contare su specifiche competenze professionali.

  • Jᴇsɪ ᴇ Vᴀʟʟᴇsɪɴᴀ.

Diversi soci di Antigone Marche abitano a Jesi e in Vallesina, anche se a Jesi non c’è più un carcere da molti anni ormai. Le strutture più vicine sono la casa di reclusione di Barcaglione e la casa circondariale di Montacuto, entrambe in Ancona. Chi non entra negli istituti si occupa dell’attività di sensibilizzazione sul territorio e nelle scuole o dell’interlocuzione con le istituzioni. Questa attività ovviamente non si è mai fermata e abbiamo lavorato via mail e in videoconferenza, cosa che già facevamo normalmente.

  • Lᴀ sɪᴛᴜᴀᴢɪᴏɴᴇ.

Tutte le strutture carcerarie marchigiane sono interessate a turno da visite a carattere ispettivo svolte nell’ambito di un progetto denominato osservatorio nazionale sulle condizioni della detenzione. Nel 2019 Antigone ha visitato 100 istituti in Italia: in quasi la metà c’erano celle senza acqua calda, in più della metà c’erano celle senza doccia. Le condizioni igienico-sanitarie sono spesso precarie, talvolta mancano prodotti per la pulizia e l’igiene. Come fai a mantenere le distanze se tre persone vivono in celle da 12 metri quadri? Il rischio si estende agli operatori: poliziotti medici, infermieri, personale civile.
Si è resa necessaria la scarcerazione anticipata di un certo numero di reclusi gravemente malati o a fine pena, in genere sostituendo la reclusione con modalità di detenzione domiciliare. I Tribunali hanno avuto modo di evidenziare che il diritto alla salute (art. 32 Cost.), specie quando riguarda soggetti già affetti da gravi patologie, può prevalere sull’esigenza di eseguire la pena per intero. La Costituzione (art. 27) chiarisce anche che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. In questo particolare momento si tratta anche di consentire telefonate o video-telefonate quotidiane, di fornire dpi a tutto il personale penitenziario, di garantire la sanificazione degli ambienti.

  • Dᴏᴠᴇ sᴛɪᴀᴍᴏ ᴀɴᴅᴀɴᴅᴏ.

Sono ancora troppo affollate le carceri. Nemmeno quattromila persone sono state scarcerate, in genere trasferite alla detenzione domiciliare, sulle oltre sessantunomila che c’erano a fine febbraio. Eppure queste riduzioni di pena hanno suscitato scandalo.
È che confondiamo il carcere col sistema penale e la scarcerazione con l’impunità. Mentre la pena del carcere è una pena residuale, l’ultima ratio, in un sistema in cui esistono molti tipi di pena, dalle pene pecuniarie, a quelle riparative, a varie forme di privazione della libertà di movimento…
In un carcere come quello odierno le persone di regola escono peggiore e più pericolose di come sono entrate.
Ecco, molto banalmente, il senso dell’occuparsi dei detenuti cercando di contribuire a garantire un trattamento umano e non degradante. Non perché sono tuoi concittadini, o tuoi parenti, o brave persone. Ma perché è indifferente che lo siano. La com-passione in questo caso sta nel riconoscere l’uomo nonostante tutto, là dove il rischio di non riconoscerlo è più grande perché maggiore è la distanza.
Quindi in primo luogo il rispetto è presupposto della possibilità di recuperare alla comunità le persone, e questa è la massima declinazione della sicurezza. In secondo luogo, quando mi occupo della condizione di una persona ristretta mi occupo di me stesso, perché un trattamento degradante non è tale solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo provoca o lo permette, ogni violazione consuma un diritto di tutti e di ciascuno.

Conviene ricordare le parole della Via crucis del 10 aprile scorso, che il Papa ha fatto scrivere da persone le cui vite a vario titolo incrociano il carcere: a chi grida crocifiggilo, crocifiggilo occorre rispondere che l’unica giustizia possibile passa per la misericordia.

Solidarietà in Vallesina, aiuti in ordinaria emergenza

L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo non ha certo sopito bisogni legati al sostentamento: continua il nostro viaggio virtuale in ascolto delle sfaccettate realtà del territorio. Intervista a Massimo Costarelli, Presidente dell’ Associazione Aiuti in Vallesina Onlus, che dal 2015 si occupa di solidarietà sociale.

  • Come sta affrontando la sua Associazione l’emergenza COVID-19  ?

La nostra associazione, attiva nel perseguimento di due missioni sociali, cioè il recupero delle eccedenze alimentari da aziende ed attività commerciali e la ridistribuzione della stessa merce  alle associazioni caritatevoli beneficiarie di tredici Comuni della media Vallesina, è proseguita regolarmente grazie all’operato dei volontari anche nei primi giorni di blocco, molto prima della definizione delle linee guida operative per lo svolgimento delle attività dei volontari del Terzo Settore che in seguito ci ha aiutati ad inquadrare meglio la conformità della nostra attività. Abbiamo operato con qualche difficoltà oggettiva e materiale in più, per l’evidenza delle nuove ordinanze e delle direttive che hanno interessato ovviamente anche i nostri fornitori, in particolare in relazione a movimenti, ad attività ed a comportamenti; l’attività è, comunque, proseguita regolarmente e senza discontinuità a servizio dei nostri beneficiari.

  • Quali difficoltà sta incontrando la sua Associazione nello svolgimento della propria attività solidale?

In questo momento, l’attività prosegue regolarmente, senza intoppi, anzi, in questo periodo, sono state strette collaborazioni ulteriori con strutture riconducibili alle istituzioni, per esempio Protezione Civile Regionale, o alle Associazioni locali. La riapertura delle attività delle associazioni caritatevoli locali ci ha permesso di tornare alla nostra normale attività.

  • Quali esperienza sta maturando la sua Associazione a seguito dell’emergenza COVID-19 nel presente e per il futuro?

La nostra associazione è a servizio degli operatori che operano a favore del superamento della problematica del disagio alimentare; quindi nulla è cambiato rispetto a prima se non l’evidente peggioramento della problematica di carattere sociale. La nostra attività è, e resta necessaria nel contesto della problematica.

Per il futuro i Piani pandemici nazionali e regionali dovranno definire fin da subito analiticamente l’impegno e l’utilizzo del Terzo Settore in fase di emergenza onde evitare esitazioni ed insicurezze.

Ascolto e sostegno a distanza: “La Famiglia” c’è, durante e dopo la tempesta

Intervista ad Elio Ranco, presidente del Consultorio La Famiglia di Jesi, associazione attiva da 40 anni con un equipe di volontari specializzati a disposizione di persone, coppie e famiglie che vivono momenti di fatica nelle relazioni (l’intervista è stata rilasciata lo scorso 27 aprile, n.d.r.)

• Come è cambiato – se è cambiato – in questo momento di emergenza il vostro servizio di volontario psicologico come Consultorio La Famiglia?

Questa emergenza, a noi come a tutti, è piovuta in testa come un fulmine a ciel sereno e ci ha trovato del tutto impreparati. La prima cosa che siamo stati costretti a fare è stata chiudere la nostra sede. Dopo un momento di comprensibile sbigottimento e smarrimento, ci siamo subito attivati per rimanere in contatto tra noi attraverso le videoconferenze e ci siamo domandati cosa avremmo potuto fare noi nella nostra specificità professionale. Ci siamo resi conto di aver bisogno di informazioni e suggerimenti su come comportarci e, quindi, abbiamo attivato i nostri contatti nazionali per acquisire informazione e formazione su come affrontare questa delicata situazione.