Arricchiamo l’analisi partecipata di questo periodo di emergenza grazie al contributo del nostro secondo “portatore di interesse”: vi presentiamo il punto di vista di Stefano Squadroni, Presidente di Arci Servizio Civile di Jesi, dal suo osservatorio personale e di operatore del Terzo Settore.
- Come vive questa situazione straordinaria della vita come giovane operatore del Terzo Settore e come giovane padre?
Il “giovane” operatore del Terzo Settore vive l’esperienza Covid-19 come momentaneo spettatore. Per ora studio il problema e il comportamento \bisogno delle persone perché credo che questo sia l’unico modo per intercettare futuri bisogni individuali e collettivi. Poi cerco di non farmi coinvolgere emotivamente dalla drammaticità dei servizi televisivi, perché credo che siano inutili siparietti offensivi per chi perde i suoi cari.
Stare in casa non mi pesa, da anni lavoro anche in modalità “smart working” in associazione. Da “giovane” padre, in questo momento mi sento un privilegiato, mio figlio ha solo nove mesi e sono ancora fuori dai meccanismi burocratici della didattica online e dalle richieste del tipo “andiamo a giocare al parco con gli amici?”. Da quando sono uscite le prime restrizioni le ho subito seguite, ma ho comunque sempre continuato a svolgere attività motoria nel rispetto mio e degli altri, pochi minuti al giorno, da solo o spingendo la carrozzina di mio figlio intorno casa e senza incontrare nessuno. Mai mi sono permesso di fermarmi a chiacchierare con qualcuno che conoscevo. Purtroppo eravamo in pochi a fare questo… e si è visto, perché hanno poi ristretto di brutto le direttive: vedi la chiusura dei parchi ecc. Adesso però la personalissima interpretazione delle norme da seguire, da parte di qualche zelante individuo – leggo di persone fermate che andavano a spasso pur dovendo stare in quarantena – sta penalizzando di molto la qualità della vita dei più fragili: bambini, anziani, persone con disturbi psichici, ecc.
- Come si informa e come forma la propria opinione sui fatti che accadono?
Dal confronto con le persone, dai social e dai giornali, in questo momento percepisco tanto malessere…forse perché conosco tanta gente, e credo che non si siano valutati fino in fondo i danni collaterali di questo improvviso confinamento in casa. “Secondo la letteratura scientifica oltre il 50% di chi vive in isolamento poi sviluppa disturbi emotivi che incidono significativamente sulla risposta fisica al virus”: queste parole sono di Fabrizio Starace, presidente della Società italiana Epidemiologia psichiatrica (Siep) intervenuto in uno dei primi incontri sul Covid-19 promossi dall’Associazione Luca Coscioni su Facebook.
- Vivere nello stato di continua emergenza aiuta o soffoca la progettualità per il futuro?
Entrambe… ma con procedure diverse. In principio c’è il soffocamento: di per sé una situazione di “emergenza” e quindi di “stress”, ci pone subito in contatto con la nostra parte più istintiva legata alla sopravvivenza. Metterci al riparo e trovare le misure di contenimento sono le uniche risorse a nostra disposizione, almeno nell’immediato. Conteniamo, “non respiriamo”… soffochiamo. Poi c’è la conseguente liberazione delle endorfine e c’è la presa di coscienza che nulla tornerà come prima, almeno nell’immediato… e allora?! Secondo il modesto parere di un “giovane”, quanto è successo non lascerà indenne la nuova riforma del Terzo Settore. Se in principio c’era il bisogno di far emergere una realtà, quella del TS, tenuta ai margini del welfare italiano, confinata insieme a quegli ultimi di cui spesso si occupa, da oggi cambia tutto.
Oggi, per citare un libricino di Gianmario Missaglia, storico Presidente UISP scomparso nel 2002, il “Terzo è il Primo”, ed indietro non si torna. Prima c’erano tesi che sostenevano il forte impatto di tenuta sociale che il volontariato aveva in Italia perché è difficile o miope (dipende da chi guarda) confutare il ritorno dei benefit “economici e sociali” dalle attività svolte dalle Associazioni: adesso invece lo vede e ne è consapevole persino il singolo volontario. In Italia il volontariato “puro” è quasi sempre accostato a strutture di stampo cattolico – nulla di male ci mancherebbe – che però alimenta quel simbolismo o archetipo collettivo che il sostegno viene sempre da una certa comunità che ha dei precisi valori, delle specifiche credenze e pratica una pietas longeva di duemila anni in perfetto stile pop. E’ così che poi, al cambiar dei tempi, ci si trova costretti a organizzare incontri, seminari… Volontarja per intenderci, perché non siamo mai stati educati ad essere parte integrante della più grande delle comunità, quella umana. Per ritornare al “come” cambierà questo TS, mi riservo ancora qualche giorno prima di fare qualche pronostico, anche perché è a questo prossimo futuro che sta pensando oggi un “giovane” dirigente del TS. Quindi in parte vi ho risposto. Anche se i problemi imminenti sono troppi, credo che sarà proprio grazie a queste molteplici complessità che si arriverà a delineare strategie innovative e durature di welfare sociale.
Stefano Squadroni
Presidente di Arci Servizio Civile Jesi