– Il filosofo e psicoanalista Felice Cimatti, qualche giorno fa, ha scritto che “…quando il distanziamento sociale diventa una virtù, allora siamo arrivati al punto in cui la vita è spaventata dalla vita”. Un suo commento dal suo punto di vista di presidente dell’Anffas.
Il termine –distanziamento sociale– adottato inizialmente e molto in uso tuttora, per indicare la distanza di sicurezza da tenere tra le Persone, necessario per contenere i contagi da COVID-19 è, per quanto mi riguarda, il livello espressivo più basso mai raggiunto dalla politica e dai sistemi di informazione/comunicazione e può definirsi un’oscena bestemmia e testimonia anche, l’incapacità di chi ne fa uso, di capire ciò che sta dicendo. Nella mia attività di volontario, ho sempre lavorato per eliminare il distanziamento sociale e favorire “la vicinanza sociale”. Il lavoro incessante di Anffas onlus Jesi, è mirato a far nascere, nelle menti e nei cuori, pensieri e azioni inclusivi e non esclusivi. Pensieri e azioni necessari, in una società coesa, affinchè nessuna persona sia esclusa. Certo, se il “distanziamento sociale” si considera una virtù, non siamo solo arrivati al punto in cui ” la vita è spaventata dalla vita”, ma anche al disprezzo delle vite altrui.
– Immunità è la parola chiave di questo periodo. Immunità però è una parola che esprime il contrario di comunità. Quanto conta la corsa ad essere immuni nel mondo della disabilità che lei conosce?
L’immunità, per persone con disabilità in generale ed intellettiva in particolare, per persone che non sempre sono in grado di rappresentare il proprio stato, la propria condizione di benessere o di malessere, sarebbe una condizione auspicabile. Una meta da raggiungere, perchè la scoperta della patologia non avvenga quando è troppo tardi per poter curare. Per evitare sofferenze che spesso non sono esternate ma comunque palesi e per questo, maggiormente devastanti. Questo tipo di immunità, quella della medicina, per noi conta molto. L’altra immunità, che spesso è impunibilità, quella della garanzia, del privilegio, dell’esenzione è da noi invisa, combattuta perchè è esclusiva e quindi escludente, divide. Non ci include, non ci accomuna.
-La sua lunga esperienza di volontario può esprimere un punto di vista attuale sull’attuale comunità delle associazioni del nostro territorio?
L’attuale” comunità delle associazioni” del nostro territorio, rispecchia l’attuale – comunità delle persone – del nostro territorio. Non è “comunità”, è: fredda, distaccata, un po’ invidiosa, disinteressata. Ci si trincera dietro alla mancanza di tempo, dietro alla mancanza di risorse economiche, dietro alla penuria di persone disposte a donarsi. Probabilmente tutto questo è vero ma è anche vero che si è perso di vista l’importanza della coalizione, della moltitudine. Condizioni queste, necessarie per fare massa critica. Condizioni necessarie alla crescita, al travaso delle esperienze e delle conoscenze.
– Che rapporto dovrebbe avere il volontariato con le istituzioni?
Credo sia sbagliato vedere le istituzioni soltanto come controparti. Certo molte volte lo sono ed è giusto che lo siano ma è anche necessario vedere le istituzioni come partner, indipendentemente da chi le rappresenta perchè noi abbiamo degli obbiettivi da perseguire e sempre di più: per cultura, per legge, per scelte non sempre condivisibili, le istituzioni abbandonano il campo mentre i bisogni crescono. Credo quindi che il rapporto debba essere, il più possibile, un rapporto di collaborazione e ricorrere al conflitto solo in casi estremi.
– L’ansia da Covid: come la si vive e come si cerca di contrastarla nelle famiglie che hanno persone con una disabilità?
L’ansia da Covid è invalidante, destabilizzante ed il terrorismo mediatico, praticato con tutti i mezzi dai sistemi di informazione ne ha amplificato la portata. Se a questo si aggiungono le scelte “scellerate”, fatte dallo Stato, dalle Regione e alle volte anche dai Comuni, avremo un quadro di sofferenza e di paure assolute. Nelle famiglie con disabilità presenti, questo quadro ha tinte ancora più fosche. Pensare ad una persona con disabilità, malata, come detto in precedenza, è atroce e quindi si è cercato e si cerca di evitare qualsiasi contatto, qualsiasi tipo di rischio. Tutto questo ha fatto e fa da moltiplicatore dell’ansia. Si sono poi aggiunte a ciò, le “chiusure”, la sospensione di tutti i servizi educativi e semiresidenziali e questo ha significato, la perdita di anni di lavoro educativo e di abilitazione, spesi per elevare le autonomie e le abilità di persone altrimenti perse nell’oblio. La consapevolezza di questo è opprimente più del confinamento e non lascia speranze ma solo disperazione. Le attività da remoto sono possibili soltanto in pochissimi casi e la necessità di dare assistenza continua hanno fiaccato le famiglie oltre ogni dire. Questo è stato ed è il periodo più triste della mia attività di volontario e in molte circostanze, mi sono trovato senza risposte da dare alle tante domande che ho ricevuto. Per combattere questa situazione, noi abbiamo praticato e stiamo praticando la vicinaza, certo più parlata che fisica perchè il nostro agire è, perlopiù, da remoto. Così portiamo un po’ di sollievo.
– Il volontario che opera nelle associazioni del territorio, opera anche sul fronte del ricambio generazionale? C’è oppure no una senilità strutturale nell’associazionismo che lei conosce?
Pur essendoci un mondo giovanile, direi, molto attento e sensibile, e in alcune realtà associative pienamente attivo, nella maggior parte delle associazioni e comunque nei corpi dirigenti, sicuramente c’è vecchiezza. Non saprei dire se per conservatorismo o per mancanza di fiducia. C’è anche e va detto, che le persone giovani che entrano nel mondo del volontariato, sono portate a scegliere il mondo “organizzato”, quello che da la divisa a dispetto di quel mondo che opera in trincea, che si sporca le mani. Ne escono penalizzate in particolare, quelle associazioni che vedono un “impegno di testa”: questo ci viene detto quando si chiede di spendersi sullo studio delle norme che si susseguono, specie ora, freneticamente ma che vanno studiate, perchè da esse norme vengonio i diritti e la loro esigibilità. La vita nel Terzo Settore è dura, ondivaga e anche veloce, specie in questa fase di cambiamento normativo profondo dovuto al DL 117/2017. Si, comunque, c’è senilità e vista corta perchè: 30/40/50 anni di differenza di età significano non solo mondi diversi ma anche energie diverse e velocità di pensiero e di azione inimmaginabili quando si è giunti nell’età grande.
Antonio
Massacci
Anffas Jesi