Gli Stati Generali del volontariato

La stampa, e soprattutto i social network  locali in questi giorni hanno ospitato notizie e riflessioni che hanno in primo piano il volontariato; ciò anche grazie alla emergenza Covid 19 che ne ha messo in risalto il ruolo, le funzioni, i valori. 

Siamo di fronte ad una accelerazione di questi temi, che a livello locale risente anche della questione del ricambio delle deleghe dell’assessorato competente al Comune di Jesi. 

La recente intervista al sindaco Bacci , apparsa sulla pagina Facebook del nostro Coordinamento, ribadisce con forza la centralità del volontariato: noi la amplifichiamo portando ad esempio la  nomina del nuovo presidente dell’Asp n.9.  L’avv. Marasca subentra al dimissionario dott. Mosconi e è utile ricordare – come fa spesso il sindaco Bacci – che si tratta di incarichi a titolo gratuito. Volontariato puro, a fronte di un impegno e di assunzioni di  responsabilità nella gestione dell’azienda più importante per il welfare del territorio.

Il  volontariato è riconosciuto nella sua funzione di valore aggiunto, anche se attualmente l’associazionismo  tutto (da quella sociale, a quello culturale, a quello sportivo) vive nel nostro Paese un momento difficile per l’applicazione della nuova Legge del Terzo Settore che lo regolamenta, accorpando di fatto realtà molto diverse tra loro.

Il  volontariato di queste normative e dell’obbligo di rispettarle sente fortemente il peso; e con la crisi Covid 19 siamo di fronte ad una accresciuta pressione burocratica che di fatto contraddice quei riconoscimenti che da tutte le parti gli vengono attribuiti (dal  livello nazionale fino a quello locale). 

Crediamo che il tema della burocrazia sia un tema importante sul tappeto in questo momento, e che di esso ci si debba occupare nelle sedi istituzionali giuste, ad ogni livello.

Per quanto sopra:

– in considerazione che da più parti si afferma che siamo  di fronte ad una mutazione  di un clima sociale, economico, culturale; 

– tenuto conto anche dello scenario comunale e territoriale; 

– vista la necessità di  realizzare un confronto allargato, con urgenza, sul tema del volontariato nelle sue declinazioni concrete (albi, regolamenti, formazione, costruzione di reti, accesso alla risorse, ricambio generazionale, etc.) ; 

proponiamo

 GLI STATI GENERALI DEL VOLONTARIATO A JESI e NELLA VALLESINA. 

Il nostro  Coordinamento, quale espressione territoriale del Centro Servizi Volontariato delle Marche, lancia questa proposta all’ASP n.9 (pensando al Profilo di Comunità da essa elaborato e alla Fondazione “Vallesina Aiuta onlus”), al Comune di Jesi quale capofila di un territorio più ampio, e a tutte quelle realtà del Terzo Settore che sono interpreti dei valori aggiunti del volontariato.

Quel volontariato che – in tutte le sue forme – è portatore sano radicato nel passato, sensibile e attento in questo tempo presente e proiettato al futuro.

Il Coordinamento

Vecchio ospedale, nuova questione…

Silvano Sbarbati propone una riflessione nuova su un tema caro al Coordinamento, ovvero il futuro del vecchio ospedale di Jesi. Con l’auspicio che il graduale rientro alla “normalità” ravvivi il sano e naturale dibattito, esercizio di una cittadinanza attiva.

In questi ultimi giorni sono apparse sulla stampa e sui social due interventi: il sindaco di Jesi Massimo Bacci ha rilanciato con forza e molta decisione la proposta di trasformare in RSA (Residenza Sociale Assistita)  il vecchio ospedale Murri. Da parte sua, il consigliere comunale Samuele  Animali ha rimesso al centro della attenzione l’utilizzo dell’ospedale di viale della Vittoria, una volta abbattuto (e sul  quando l’Asur non ne dà ancora certezza). 

Sulla RSA il mondo del volontariato esprime la propria convinta adesione alla idea del sindaco: non è una posizione aprioristica ma è dettata dalla convinta idea che la proposta abbia una profonda rispondenza nei confronti della comunità del nostro territorio, senza fughe in avanti e con grande concretezza realizzativa. E lo diciamo in nome della sensibilità e della operatività che il volontariato mette in opera da sempre nei confronti della popolazione più fragile, come quella anziana.

Sulle idee che Animali mette in campo per il futuro del vecchio ospedale di viale della Vittoria e dell’ospedale monumentale di corso Matteotti, il Coordinamento rivendica un piccolo merito: di aver messo in evidenza questo problema per primo, con un convegno organizzato tre anni fa circa e ripetuto con un altro evento un anno dopo. 

Allora si chiedeva alla città e al territorio di cominciare a pensare, di cominciare a cercare idee su che cosa fare e su che cosa debba diventare questa area e questa struttura. Non entriamo nel merito delle  proposte avanzate da Animali, chè questa non è la sede. Ma qui vorremmo esprimere soddisfazione per questo avvio di dibattito pubblico, augurandoci che possa proseguire nelle sedi più opportune e con  esiti concreti e soprattutto in armonia con la realtà di tutta la comunità jesina e del territorio di riferimento. Inoltre vorremmo che in ogni fase del dibattito e nei momenti delle scelte il volontariato, nelle forme e nei modi da discutere, venga ascoltato. Perché la solidarietà ( che va di moda citare come valore aggiunto proprio del volontariato) non si può sospendere in quanto esercizio di condivisione e di cittadinanza attiva. Siccome viviamo tempi di emergenza, e si dice che nulla sarà come prima, non vorremmo che, nel “dopo” tutto fosse uguale  e dunque ancora peggio.



Se il mondo intero pare divenuto una prigione

“Qua dentro, là fuori…”. Là dentro, qua fuori. Il contributo di Samuele Animali, del Direttivo Antigone Marche ci aiuta a completare lo sguardo sulla nostra realtà e le sue complessità in tempo di pandemia.

  • Pᴇʀᴄʜᴇ́ ᴘʀᴏᴘʀɪᴏ ɪʟ ᴄᴀʀᴄᴇʀᴇ.

Il carcere è per definizione un luogo fuori dal mondo. Eppure se vuoi capire il mondo devi andare in carcere. Proprio come gli archeologi trovano i reperti più interessanti nei cimiteri e negli immondezzai, così il carcere è, per tanti versi, la discarica della società.
Il carcere è lo specchio deformato del mondo. Le persone che lo popolano sono spogliate di ogni dignità e di ogni autonomia. Rappresenta l’anello più fragile della nostra società per quanto riguarda i diritti civili ed tra i punti di emersione principali delle tensioni che l’attraversano. Qui le cose accadono prima e producono effetti peggiori.

  • Cʜᴇ ᴄᴏsᴀ sᴜᴄᴄᴇᴅᴇ ᴄᴏɴ ɪʟ ʟᴏᴄᴋᴅᴏᴡɴ.

Nulla, verrebbe da dire. Per i detenuti il confinamento è a condizione normale. Senonché il nostro lockdown presuppone una casa “comoda”, e quindi mette maggiormente in difficoltà i senza dimora, i minori in comunità, i richiedenti asilo, e anche i detenuti. Se il mondo intero pare divenuto una prigione, le prigioni vere sono diventate inferno. Il sovraffollamento delle prigioni produce normalmente disagio, ma la preoccupazione per il Covid-19, assieme alla sospensione delle visite imposta dall’amministrazione penitenziaria (potendo far poco altro), nel mese di marzo ha innescato proteste e rivolte. Numerosi detenuti sono morti (13), in alcuni casi per cause ufficialmente ancora non definite.

  • Aɴᴛɪɢᴏɴᴇ.

Assieme alle visite è stata sospesa gioco-forza anche l’attività delle associazioni all’interno degli istituti. Antigone in particolare è un’associazione nazionale che si occupa di tutela dei diritti civili, prestando un supporto di carattere giuridico, amministrativo, sanitario. Non è necessario un gran numero di soci attivi, avere a che fare con il carcere è un’esperienza molto particolare all’inizio, occorrono una forte motivazione ed anche una preparazione specifica, che si acquisisce solo con l’esperienza o potendo contare su specifiche competenze professionali.

  • Jᴇsɪ ᴇ Vᴀʟʟᴇsɪɴᴀ.

Diversi soci di Antigone Marche abitano a Jesi e in Vallesina, anche se a Jesi non c’è più un carcere da molti anni ormai. Le strutture più vicine sono la casa di reclusione di Barcaglione e la casa circondariale di Montacuto, entrambe in Ancona. Chi non entra negli istituti si occupa dell’attività di sensibilizzazione sul territorio e nelle scuole o dell’interlocuzione con le istituzioni. Questa attività ovviamente non si è mai fermata e abbiamo lavorato via mail e in videoconferenza, cosa che già facevamo normalmente.

  • Lᴀ sɪᴛᴜᴀᴢɪᴏɴᴇ.

Tutte le strutture carcerarie marchigiane sono interessate a turno da visite a carattere ispettivo svolte nell’ambito di un progetto denominato osservatorio nazionale sulle condizioni della detenzione. Nel 2019 Antigone ha visitato 100 istituti in Italia: in quasi la metà c’erano celle senza acqua calda, in più della metà c’erano celle senza doccia. Le condizioni igienico-sanitarie sono spesso precarie, talvolta mancano prodotti per la pulizia e l’igiene. Come fai a mantenere le distanze se tre persone vivono in celle da 12 metri quadri? Il rischio si estende agli operatori: poliziotti medici, infermieri, personale civile.
Si è resa necessaria la scarcerazione anticipata di un certo numero di reclusi gravemente malati o a fine pena, in genere sostituendo la reclusione con modalità di detenzione domiciliare. I Tribunali hanno avuto modo di evidenziare che il diritto alla salute (art. 32 Cost.), specie quando riguarda soggetti già affetti da gravi patologie, può prevalere sull’esigenza di eseguire la pena per intero. La Costituzione (art. 27) chiarisce anche che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. In questo particolare momento si tratta anche di consentire telefonate o video-telefonate quotidiane, di fornire dpi a tutto il personale penitenziario, di garantire la sanificazione degli ambienti.

  • Dᴏᴠᴇ sᴛɪᴀᴍᴏ ᴀɴᴅᴀɴᴅᴏ.

Sono ancora troppo affollate le carceri. Nemmeno quattromila persone sono state scarcerate, in genere trasferite alla detenzione domiciliare, sulle oltre sessantunomila che c’erano a fine febbraio. Eppure queste riduzioni di pena hanno suscitato scandalo.
È che confondiamo il carcere col sistema penale e la scarcerazione con l’impunità. Mentre la pena del carcere è una pena residuale, l’ultima ratio, in un sistema in cui esistono molti tipi di pena, dalle pene pecuniarie, a quelle riparative, a varie forme di privazione della libertà di movimento…
In un carcere come quello odierno le persone di regola escono peggiore e più pericolose di come sono entrate.
Ecco, molto banalmente, il senso dell’occuparsi dei detenuti cercando di contribuire a garantire un trattamento umano e non degradante. Non perché sono tuoi concittadini, o tuoi parenti, o brave persone. Ma perché è indifferente che lo siano. La com-passione in questo caso sta nel riconoscere l’uomo nonostante tutto, là dove il rischio di non riconoscerlo è più grande perché maggiore è la distanza.
Quindi in primo luogo il rispetto è presupposto della possibilità di recuperare alla comunità le persone, e questa è la massima declinazione della sicurezza. In secondo luogo, quando mi occupo della condizione di una persona ristretta mi occupo di me stesso, perché un trattamento degradante non è tale solo per chi lo subisce, ma anche per chi lo provoca o lo permette, ogni violazione consuma un diritto di tutti e di ciascuno.

Conviene ricordare le parole della Via crucis del 10 aprile scorso, che il Papa ha fatto scrivere da persone le cui vite a vario titolo incrociano il carcere: a chi grida crocifiggilo, crocifiggilo occorre rispondere che l’unica giustizia possibile passa per la misericordia.

“Da una solidarietà emotiva a una società giusta ed equa”

Intervista a Francesco Luminari, presidente dell’associazione Tenda Di Abramo di Falconara Marittima (An), che dal 1990 si occupa dell’accoglienza di persone senza fissa dimora e di sensibilizzazione sui temi della povertà e dell’esclusione sociale.

Da quasi 2 mesi è entrato di forza nelle nostre vite il mantra\monito #iorestoacasa: vi raccontiamo questo periodo dall’osservatorio di una realtà volontaristica che opera 365 giorni l’anno al servizio dei cosiddetti invisibili, “per non arrendersi alle cose così come sono”.

  • Come è cambiato il servizio dell’Associazione Tenda di Abramo dall’entrata in vigore delle restrizioni dovute al Covid-19?

Riepilogo le “mutazioni” che l’attività associativa ha dovuto seguire per far fronte all’emergenza sanitaria cercando di mantenere contemporaneamente presidiati i principali binari che la caratterizzano: accoglienza delle persone senza dimora; stimolo e collaborazione con enti locali; cultura e promozione dell’accoglienza per il territorio. Da metà febbraio – proprio mentre eravamo, dopo mesi di preparazione, alla fase finale di organizzazione delle celebrazioni previste per il trentennale dell’Associazione, programmate per metà di marzo… – abbiamo adottato le prime precauzioni per cercare di garantire un servizio sicuro all’interno della casa di prima accoglienza in Via Flaminia, 589. 

Si è iniziato dalla riduzione del numero di volontari presenti per turno (per scelta o presa d’atto in quanto, per ovvi motivi, da fine febbraio le disponibilità a garantire la presenza diminuivano progressivamente) arrivando in breve al “blocco” dei nuovi ingressi, misura presa da tutte le case di accoglienza della regione. Successivamente si è garantita una distanza minima fra i tavoli e gli ospiti in refettorio per la cena, fino alla riduzione degli ospiti per ogni camera e la disinfezione dei locali, precauzionalmente fatta fare da una ditta esterna la mattina del 9 marzo. 

Purtroppo alla fine è risultato impossibile continuare, non riuscendo più a mantenere allo stesso tempo un livello minimo di serenità per gli ospiti e i volontari che si succedevano nei turni. Da sabato 14 marzo, l’attività quotidiana ordinaria presso la casa di accoglienza di Via Flaminia 589 è stata ”sospesa”. 

Grazie all’intuizione di alcuni consiglieri e volontari, da quella mattina l’attività associativa è continuata senza interruzione. Su canali e con modalità diverse la cura e l’accoglienza dei nostri ospiti sono proseguite. Seguendo l’idea di Giuseppe e Stefano, grazie all’impegno e all’esperienza di Chiara (la nostra operatrice del segretariato sociale) e attraverso una modalità di confronto intenso si è scelto di cercare alloggi alle 4 persone che erano in Tenda alla data della sospensione e nei giorni successivi anche ad altre persone, segnalate da associazioni e parrocchie. Arrivando così a 10 persone a cui stiamo garantendo, da settimane, un alloggio.

Nulla sarà più come prima

Silvano Sbarbati, a nome del Coordinamento delle AdV e APS, riprende e sviluppa alcuni sputi ricavati dalla lettura dell’ultimo numero del quindicinale di informazione “Jesi e la sua Valle”.

La ben costruita intervista di Matteo Tarabelli al sindaco di Jesi Massimo Bacci porta un titolo che richiama una idea che in queste settimane si è molto diffusa, forse perché convincente: “Nulla sarà come prima”. E poi un sottotitolo dove il sindaco dice testualmente (tra virgolette): “Questa emergenza ci ha cambiato, non sarà semplice ripartire, ma stiamo riscoprendo il senso di comunità”. Ora, chi abbia interesse per l’argomento può accedere all’ultimo fascicolo di Jesi e la sua Valle del 25 aprile, alle pagine 12 e 13.

Qui, nel contesto proprio del mondo del volontariato, vorrei cercare di approfondire quanto emerge dalle dichiarazioni del sindaco che, alla domanda su ciò che di positivo ha vissuto in queste settimane di emergenza Covid 19, definisce il volontariato  (dentro il contesto del Terzo Settore)  come un “gigantesco  patrimonio che abbiamo fra le mani”. Dopo averlo ringraziato per il coraggio e il determinante contributo, Bacci anticipa pure che con l’assessore  Marialuisa Quaglieri  sta “valutando interventi per valorizzare ulteriormente questa rete di reciproco aiuto, con l’obiettivo di non disperdere uno dei pilastri più vigorosi di questo territorio”.

Dunque: volontariato come “gigantesco patrimonio” e impegno del  Comune per “valorizzare e non disperdere questo pilastro vigoroso del territorio”.

Le due metafore sono suggestive e di forte impatto comunicativo. Pensare al volontariato come patrimonio rimanda ad una ricchezza; e qui vorremmo riuscire a capire di  che cosa sia fatta questa ricchezza. Non di denaro, certo, né di poteri istituzionali, né di strumentazione.  Forse di “capitale umano”, usando una brutta metafora che rimanda alla fabbrica. Certo, il volontariato è una ricchezza di disponibilità, di attenzioni, di cura proprie di persone verso altre persone. Dunque volontariato come patrimonio, come giacimento di umanità. 

Ci voleva il Covid 19  e le sofferenze derivanti per “riscoprire” questo elemento che è collante di ogni comunità. Lo sottolinea il sindaco, nelle sue dichiarazioni e possiamo soltanto condividere, sottolineando  tuttavia che se un senso di comunità è stato “riscoperto” vuol dire che esisteva, pur sottotraccia , pur se velato da altri valori meno sostanziali.

Ecco: quando si afferma che “nulla sarà come prima” vorremmo che quel nulla  – che richiama il vuoto – venisse riempito di cose, di concreti riferimenti a cui indirizzare il fare del dopo… Proviamo a fare un elenco?

  1. Togliere il “velo oscurante”  che ha coperto la capacità del volontariato di fare comunità, accreditandolo tra i soggetti di riferimento delle scelte fondamentali per la città e il territorio;
  2. Riposizionarlo all’interno delle priorità del bilancio comunale;
  3. Fare chiarezza istituzionale sull’associazionismo e le sue diverse nature rispetto al volontariato in ambito locale, nell’alveo della nuova legge sul Terzo Settore;
  4. Dare attenzione costante ai bisogni espressi dal volontariato, compreso quello di formazione per aumentarne la capacità di capire e agire a favore della propria comunità;
  5. Alfabetizzare e sensibilizzare le istituzioni pubbliche perché interpretino meglio i desideri del volontariato (tutto intero, in tutte le sue forme di intervento) senza settorializzarli negli ambiti di ciascuna associazione, ma integrandoli – finalmente e concretamente – nella logica di rete.

Silvano Sbarbati

Intervista a Massimiliano Colombi

Il tempo-Covid 19 permette – tra le molte altre cose che invece limita – di tessere relazioni di riflessione usando ritmi meno convulsi. In questo senso abbiamo approfittato di Massimiliano Colombi, il sociologo che ha collaborato con noi nel progetto “Una pedagogia per il volontariato” svoltosi quasi un anno fa a Jesi nell’ambito del  Festival Volontarja, ponendogli alcune domande, avendo come centro di interesse la formazione per il Terzo Settore. Colombi, attraverso il  suo ambito professionale ha maturato una particolare competenza nel settore del volontariato e nelle dinamiche di formazione ad esso connesse, ed è docente tra l’altro presso l’ Istituto Teologico Marchigiano.

  •     Prof. Colombi, che cosa pensa di questo tempo-Covid 19?

Abitiamo un tempo che spinge a ritrovarsi con modalità inedite, e in questo il mondo del volontariato dimostra una tenacia incredibile, un valore aggiunto prezioso per le nostre comunità. Abitare con consapevolezza questo tempo significa lasciarsi interrogare dal “durante”, senza cedere ad una logica del “prima” e del “dopo”. Anche perché molti segnali ci dicono che il cosiddetto “dopo”, ad esempio la “fase 2”, assomiglierà molto di più al “durante” che stiamo vivendo, piuttosto che al “prima” che abbiamo vissuto. 

In questa prospettiva si può maturare una postura di “fronteggiamento”, alternativa alla fuga. Occorre dirsi reciprocamente “chi sei?” e soprattutto “ci sei?”. In altre parole può voler dire impegnarsi in un lavoro di ristrutturazione della convivenza umana, avendo una preoccupazione costante per la cura della propria vita in connessione con le vite altre e di altri.

  •   Siamo in una  crisi dai contorni e dagli orizzonti particolarmente frastagliati e nebulosi, dunque?

Credo di sì, non conosciamo tutto e siamo obbligati a non smettere di conoscere. Più conosciamo e più siamo chiamati ad accettare la parzialità . Abbiamo poche informazioni solide e tante incertezze. Abbiamo però una certezza: non siamo soli e possiamo sostenerci nella ricerca. Come ci insegna Arturo Paoli, solo “camminando s’apre cammino”. E qui vorrei introdurre un elemento importante: la crisi non seleziona sempre i migliori, ma spesso e volentieri resiste chi dispone di una rendita di posizione. Al contrario le realtà più innovative e più fragili, maggiormente esposte alle criticità rischiano di soccombere. Occorre aver cura dei germogli e non solo delle piante secolari. 

In questo senso quanto diventa importante attivare una narrazione della esperienza da cui poter apprendere e che consenta di sviluppare un humus utile per far crescere nuove piante, nuove realtà del volontariato, inedite forme di convivenza. La narrazione può essere fatta da chiunque ha a cuore e ha cura delle persone e delle comunità, che parta dal radicamento nella storia feriale, in grado di porre attenzione a ciò che accade a livello micro (livello personale), macro (la Società) ma anche meso (la Comunità). È necessario un lavoro da “cercatori d’oro” rispetto a disponibilità individuali e comunitarie, per poterle riconoscere e valorizzare.

  • Se dovesse descrivere con una metafora il momento che stiamo vivendo…?

Siamo in Esodo, come scrive il pedagogista Ivo Lizzola, non da soli ma in Carovana, legati gli uni agli altri. Un grandissimo paradosso. Non è vero che siamo “sospesi” e in attesa di una ripartenza. Nessuno di noi è stato congelato e ognuno continua a vivere. Restiamo in viaggio. Alcune terre assomiglieranno alle solite terre, altre saranno invece terre insolite. Alcune mappe ci aiuteranno a proseguire il viaggio, mentre altre, a fronte dei cambiamenti intercorsi, ci porteranno fuori strada. Di alcuni territori dovremo disegnare le mappe, saremo esploratori. Non siamo in pausa. Stiamo vivendo, perché siamo vivi. Per questo sentiamo il dolore delle tante morti senza commiato, avvertiamo la paura per un tempo incerto e conserviamo la fiducia che non siamo all’ultima pagina. Continuare ad abitare significa continuare a vivere.

Leggere l’emergenza per progettare il futuro del volontariato

Le Marche del volontariato, tra “zone rosse”, evoluzioni e formazione necessarie per costruire nuovi modelli di cittadinanza attiva: intervista a Daniele Tassi, presidente di Odòs Società Cooperativa, Consigliere Nazionale Centro Sportivo Italiano, componente direttivo di CSV Marche e consigliere della Fondazione Vallesina Aiuta.

  • Cosa è successo al mondo del volontariato locale in questo periodo di crisi dovuto al COVID-19?

Mi sembra importante, come marchigiano, provare a dare una lettura su due emergenze differenti che hanno coinvolto direttamente la nostra regione in questi anni e di come anche il volontariato è stato coinvolto in modo diverso da questi eventi.
La nostra regione, nel giro di pochi anni, ha sperimentato due diverse modalità di vivere le “zone rosse”.
Stare nella zona rossa del terremoto del 2016 ha costretto per diverso tempo a stare fuori di casa per la nostra sicurezza. Questo ci ha consentito di riscoprire la comunità e le relazioni come risorsa positiva per superare la fragilità generata dal trauma terremoto.
La zona rossa imposta per l’emergenza da COVID-19, ci costringe a stare dentro le nostre case per la nostra sicurezza e quella degli altri. Questa modalità, a differenza della precedente, ci porta ad essere separati dal mondo, dalla comunità e dalle nostre relazioni sociali quotidiane.
La zona rossa da COVID-19, a differenza della prima, ha limitato fortemente l’attività e la presenza sul nostro territorio delle tante associazioni e volontari che svolgevano quotidianamente un’importante funzione di sostegno, cura, coesione sociale, assistenza, impegno e cittadinanza attiva. Durante l’emergenza del terremoto, invece, si sono moltiplicate le attività e la presenza di associazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale nelle zone colpite dal sisma.
Di fatto è stato limitato fortemente l’elemento essenziale del volontariato, ossia la presenza accanto alle persone. Proprio perché il veicolo del contagio è la vicinanza tra le persone.

  • Cosa può fare il volontariato in questo momento di emergenza? Come attivarsi pur dovendo stare a casa?

Come dicevo sopra, il cuore del volontariato sono i volontari. Il capitale umano, rappresentato dai volontari, è il veicolo propulsivo e moltiplicativo dell’azione delle associazioni di volontariato. Non possiamo aspettare il dopo in modo passivo, ma dobbiamo continuare a essere attivi anche durante la crisi. Da una parte, cercando di capire come continuare a coltivare la nostra vocazione di volontari anche in questa fase di restrizione, dall’altra utilizzando questo momento di pausa per curare la nostra formazione personale come volontari.

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Lettera aperta ai Consiglieri Regionali del territorio

Scriviamo una lettera aperta perché i valori aggiunti a cui fa riferimento il volontariato si alimentano delle aperture alla comunità in tutti gli ambiti, compreso quello della politica e delle istituzioni.

Il momento che viviamo è drammatico e impegnativo e sentiamo dappertutto spendere la parola “solidarietà” come fosse una moneta di gran pregio. Questa moneta il volontariato la usa da sempre e siamo felici che sia diventata adesso quella più importante da poter spendere.

Sappiamo anche che il volontariato nel nostro Paese e nella nostra Regione è una realtà radicata nelle comunità, salda e persistente. Per questo sentiamo forte il bisogno, oggi, di ascoltare la voce di chi rappresenta il territorio e dunque rappresenta anche il “territorio della solidarietà nel volontariato”. Questa voce è quella dei rappresentanti nel governo regionale, che ha in primis la responsabilità della sanità pubblica, dalla quale ci aspettiamo le migliori risposte possibili a questa crisi.

In mezzo a tanto chiacchiericcio, alla ostentazione di tante competenze, al fiume torrenziale di dati e statistiche, di anticipazioni premature, di cerimoniali e di una retorica spesso stucchevole, il volontariato che lavora si aspetta (perché sente di meritarlo) un rapporto più ravvicinato, meno mediato con la “voce” dei propri rappresentanti locali.

Senza dover chiedere, ma al contrario ricevendo notizie, riflessioni, pensiero condiviso su scelte e su problemi che aspettano soluzioni equilibrate e misurate sui “valori aggiunti” dalla solidarietà. In un mondo che tiene le distanze per evitare il contagio, ci pare importante tuttavia sforzarsi di mantenere la vicinanza, magari usando i mezzi che la tecnologia ci ha fornito e che anche noi, volontaristicamente, abbiamo imparato ad usare in modo solidale.

Ecco, questo ci pare poter essere il modo migliore per scrivere Cambiamento con la lettera maiuscola.

Con cordialità.

Il terzo è il primo: strategie per sopravvivere e progettare la complessità post emergenza.

Arricchiamo l’analisi partecipata di questo periodo di emergenza grazie al contributo del nostro secondo “portatore di interesse”: vi presentiamo il punto di vista di Stefano Squadroni, Presidente di Arci Servizio Civile di Jesi, dal suo osservatorio personale e di operatore del Terzo Settore.

  • Come vive questa situazione straordinaria della vita come giovane operatore del Terzo Settore e come giovane padre?

Il “giovane” operatore del Terzo Settore vive l’esperienza Covid-19 come momentaneo spettatore. Per ora studio il problema e il comportamento \bisogno delle persone perché credo che questo sia l’unico modo per intercettare futuri bisogni individuali e collettivi. Poi cerco di non farmi coinvolgere emotivamente dalla drammaticità dei servizi televisivi, perché credo che siano inutili siparietti offensivi per chi perde i suoi cari.

Stare in casa non mi pesa, da anni lavoro anche in modalità “smart working” in associazione. Da “giovane” padre, in questo momento mi sento un privilegiato, mio figlio ha solo nove mesi e sono ancora fuori dai meccanismi burocratici della didattica online e dalle richieste del tipo “andiamo a giocare al parco con gli amici?”. Da quando sono uscite le prime restrizioni le ho subito seguite, ma ho comunque sempre continuato a svolgere attività motoria nel rispetto mio e degli altri, pochi minuti al giorno, da solo o spingendo la carrozzina di mio figlio intorno casa e senza incontrare nessuno. Mai mi sono permesso di fermarmi a chiacchierare con qualcuno che conoscevo. Purtroppo eravamo in pochi a fare questo… e si è visto, perché hanno poi ristretto di brutto le direttive: vedi la chiusura dei parchi ecc. Adesso però la personalissima interpretazione delle norme da seguire, da parte di qualche zelante individuo – leggo di persone fermate che andavano a spasso pur dovendo stare in quarantena – sta penalizzando di molto la qualità della vita dei più fragili: bambini, anziani, persone con disturbi psichici, ecc. 

  • Come si informa e come forma la propria opinione sui fatti che accadono?

Dal confronto con le persone, dai social e dai giornali, in questo momento percepisco tanto malessere…forse perché conosco tanta gente, e credo che non si siano valutati fino in fondo i danni collaterali di questo improvviso confinamento in casa. “Secondo la letteratura scientifica oltre il 50% di chi vive in isolamento poi sviluppa disturbi emotivi che incidono significativamente sulla risposta fisica al virus”: queste parole sono di Fabrizio Starace, presidente della Società italiana Epidemiologia psichiatrica (Siep) intervenuto in uno dei primi incontri sul Covid-19 promossi dall’Associazione Luca Coscioni su Facebook.

  • Vivere nello stato di continua emergenza aiuta o soffoca la progettualità per il futuro?

Entrambe… ma con procedure diverse. In principio c’è il soffocamento: di per sé una situazione di “emergenza” e quindi di “stress”, ci pone subito in contatto con la nostra parte più istintiva legata alla sopravvivenza. Metterci al riparo e trovare le misure di contenimento sono le uniche risorse a nostra disposizione, almeno nell’immediato. Conteniamo, “non respiriamo”… soffochiamo. Poi c’è la conseguente liberazione delle endorfine e c’è la presa di coscienza che nulla tornerà come prima, almeno nell’immediato… e allora?! Secondo il modesto parere di un “giovane”, quanto è successo non lascerà indenne la nuova riforma del Terzo Settore. Se in principio c’era il bisogno di far emergere una realtà, quella del TS, tenuta ai margini del welfare italiano, confinata insieme a quegli ultimi di cui spesso si occupa, da oggi cambia tutto. 

Oggi, per citare un libricino di Gianmario Missaglia, storico Presidente UISP scomparso nel 2002, il “Terzo è il Primo”, ed indietro non si torna. Prima c’erano tesi che sostenevano il forte impatto di tenuta sociale che il volontariato aveva in Italia perché è difficile o miope (dipende da chi guarda)  confutare il ritorno dei benefit “economici e sociali” dalle attività svolte dalle Associazioni: adesso invece lo vede e ne è consapevole persino il singolo volontario. In Italia il volontariato “puro” è quasi sempre accostato a strutture di stampo cattolico – nulla di male ci mancherebbe – che però alimenta quel simbolismo o archetipo collettivo che il sostegno viene sempre da una certa comunità che ha dei precisi valori, delle specifiche credenze e pratica una pietas longeva di duemila anni in perfetto stile pop. E’ così che poi, al cambiar dei tempi, ci si trova costretti a organizzare incontri, seminari… Volontarja per intenderci, perché non siamo mai stati educati ad essere parte integrante della più grande delle comunità, quella umana. Per ritornare al “come” cambierà questo TS, mi riservo ancora qualche giorno prima di fare qualche pronostico, anche perché è a questo prossimo futuro che sta pensando oggi un “giovane” dirigente del TS. Quindi in parte vi ho risposto. Anche se i problemi imminenti sono troppi, credo che sarà proprio grazie a queste molteplici complessità che si arriverà a delineare strategie innovative e durature di welfare sociale.

(contributo raccolto in data 30\03\2020)

Stefano Squadroni

Presidente di Arci Servizio Civile Jesi

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Disabilità mentale: la solidarietà ai tempi del Coronavirus

Emergenza sanitaria e sociale, (continuare a) prendersi cura della fragilità, spostando lo sguardo fuori dalle strutture ospedaliere, nell’occhio del ciclone e dell’attenzione mediatica. Allarghiamo la visione su questi temi ascoltando, da noi sollecitati, dei “portatori di interesse” che vivono e operano nella nostra comunità.

Ringraziamo Tito Augelli, vice presidente dell’Associazione Tutela Salute Mentale per la Vallesina – ODV, per il suo contributo puntuale.

  • Se è vero, come sosteniamo spesso, che bisogna coltivare la solidarietà come un valore aggiunto, sempre e comunque, dall’ osservatorio della sua associazione vede realizzato questo auspicio? E come?

A seguito delle disposizioni restrittive imposte dal Governo e dalla Regione, l’attività in Sede è stata sospesa dall’11/03/2020 sino a nuove disposizioni che ne consentano la ripresa. In particolare, le famiglie con disabili mentali in casa subiscono un aggravamento della situazione familiare per la presenza continua del congiunto disabile con il quale, nella maggior parte dei casi, esiste un rapporto conflittuale che con il trascorrere del tempo prolungato di convivenza tende ancor più ad ampliarsi. In questa situazione, l’Associazione assicura la vicinanza alle famiglie ed ai disabili con i mezzi più accessibili: telefono e WhatsApp. A tutti coloro che chiamano o scrivono viene assicurato ascolto, dispensati consigli ed informazioni, ma soprattutto conforto per la situazione eccezionale che sono costretti a vivere. Il mio telefono di casa ed il cellulare, consultabili sul sito della Associazione, sono sempre raggiungibili da chiunque abbia bisogno di aiuto. Questa è la solidarietà che possiamo assicurare, al momento,  a queste persone fragili messe ancor più alla prova da questa situazione eccezionale.

  • Lo stato di emergenza sanitaria e sociale che stiamo vivendo come incide sulla realtà che tocca con mano nella sua attività di volontario?

I rischi per i disabili ospitati presso le strutture dedicate dovrebbero essere attenuati in quanto i disabili beneficiano dei servizi di assistenza assicurati da tali strutture. Quindi parliamo di disabili mentali che vivono nelle rispettive famiglie, e di queste famiglie. Per tali situazioni è concreto il rischio che taluni disabili che non comprendono la situazione né la sua gravità, escano comunque di casa, come facevano in precedenza, senza che le famiglie abbiano la capacità di opporsi, e vaghino senza il necessario controllo imposto dalla attuale situazione, con grave pericolo per la loro ed altrui salute. Analogo rischio è presente per quei disabili che non vivono in famiglia ma convivono in gruppi appartamento. 

  • Oggi come oggi che rapporto vivono le famiglie con le istituzioni?

Le famiglie sono consapevoli della gravità della situazione, ma avvertono un senso di abbandono da parte dalle istituzioni di riferimento e chiedono aiuti concreti nella gestione del proprio congiunto. Con la recente Ordinanza n. 16 del 26/03/2020 si è venuti  incontro alle necessità delle sole famiglie con disabile mentale convivente, ma solo con patologie certificate dall’autorità sanitaria dalle quali derivino problematiche comportamentali gravi, lasciando il compito di accompagnare tali disabili ad un familiare o al caregiver di riferimento. Ciò è molto positivo, ma affronta solo una criticità specifica. Per le altre famiglie permangono tutte le problematiche, aggravate dalla attuale situazione, connesse con una gestione del congiunto disabile mentale che è presente in modo continuativo perché deve restare in casa. Per queste famiglie, che sostengono un carico ancor più pesante e che chiedono aiuto,  al momento non sono noti provvedimenti. 

Jesi, 28 marzo 2020

Tito Augelli,
Vice Presidente
Ass. Tutela Salute Mentale per la Vallesina – ODV