“Da una solidarietà emotiva a una società giusta ed equa”

Purtroppo un numero insufficiente rispetto alla fortissima esigenza attuale del nostro territorio (un gruppo di persone ci risulta dormire al mare da settimane). Parallelamente è stata avviata una raccolta fondi con l’ottica di mantenere questa forma di accoglienza alternativa, a pagamento, finché serve. Sommando le risorse di chi ci sta aiutando, i nostri fondi e altri che cercheremo. Dividendoci i compiti: fra coloro che seguono gli aspetti amministrativi, i rapporti con gli ospiti, i proprietari e i contatti con i servizi sociali dei vari comuni, quando possibile. Il consiglio si riunisce, in modalità telematica, per condividere le scelte, almeno due volte a settimana, dandone tempestivo conto a tutti i volontari mediante mail. Da aprile si è riattivato il gruppo di ascolto che, con un calendario di chiamate per persona, contatta le persone ospitate per scambiare due chiacchere e magari cogliere alcune esigenze particolari che si cercano di soddisfare.  Parallelamente, dal lato della sensibilizzazione e collaborazione con altri enti e associazioni non si è mai smesso di segnalare la presenza di altre persone che “non possono stare a casa perché una casa non hanno”, invitando chi di dovere a farsene carico e le altre associazioni / parrocchie / Caritas Diocesana a condividere strategie, percorsi e strumenti.

Il mese di maggio avrà presumibilmente l’obiettivo di prefigurare le modalità e tempi di riapertura della struttura e contemporaneamente cercare una soluzione più strutturale per le persone che stiamo ospitando. L’intento è quello di proseguire l’accoglienza delle persone finché servirà… Vi chiediamo, se possibile, di diffondere ancora l’attività di raccolta presso i vostri amici e conoscenti. Riportiamo di seguito il nostro codice IBAN: IT 45 Y 03111 37350 0000 0001 1693 (causale: “offerta liberale”)

  • Quali stati d’animo percepisce tra la popolazione dal suo punto di vista?

Dal primo momento, dove si alternavano smarrimento per la novità a tentativi di reazione corali per farsi coraggio e dare un’impronta comunitaria al momento (gli striscioni, i canti dai balconi, gli inni, gli appelli delle personalità a sostegno della “prima linea” ecc…), sempre tragicamente accompagnati dalla constatazione della durissima realtà alla quale stavamo assistendo e vivendo (l’immagine delle bare e degli ospedali, i quotidiani bollettini della protezione civile, sono diventati l’incessante sottofondo della nostra quotidianità). Alcuni sono poi passati ad un progressivo e diffuso disagio, espresso o ancor peggio vissuto dentro, per la situazione quotidiana. Manca non solo l’uscire di casa, ma la forte angoscia per il lavoro, l’impossibilità di abbracciare i propri cari, un forte senso di precarietà che ci fa sentire in bilico. E poi si è passati dalla novità delle riunioni telematiche, la scuola a distanza che prevalevano all’inizio e davano argomentazioni alla famosa frase “andrà tutto bene”, alla percezione acuta delle difficoltà soprattutto per le famiglie con bambini piccoli che vanno seguiti e gestiti di continuo, senza aiuto esterno, o coloro che hanno necessità di un supporto in più che hanno dovuto interrompere le terapie le cure le riabilitazioni improvvisamente. 

La metafora che ricorre è quella della guerra, ma personalmente mi ritrovo in chi paragona questa vicenda a quella del trambusto di un “terremoto”, che ti fa mancare la terra sotto i piedi e ti serve un punto di appoggio al quale aggrapparti. Punto di appoggio che non tutti trovano.   La preoccupazione forte e ultima adesso è quella per la cosiddetta “fase 2”, in attesa del dopo con tutti i suoi interrogativi.

  • Solidarietà”: termine in queste settimane molto utilizzato: crede che sia un valore aggiunto o ancora da aggiungersi al comune sentire? Vale lo stesso per “accoglienza”?

Solidarietà è effettivamente uno dei termini attualmente più utilizzati con tutto ciò che è collegato alla metafora prevalente della guerra (eroi, prima linea, inno nazionale). A partire dalle pubblicità, le interviste, i giornali fino agli svariati social. Tutto comprensibile. Personalmente non mi ritrovo nel termine di paragone di una “guerra” che stiamo combattendo. Se vogliamo fare riferimento alle tragedie condivido l’opinione di chi paragona l’attuale periodo ai nefasti di un terremoto perchè la sensazione è che sia proprio venuta a mancare la terra sotto i piedi.  Ma ciò poco importa. 

 Il rischio che vedo è quello che seguendo un certo filone vi sia un forte un abuso del termine “solidarietà”, che cavalchi l’aspetto emotivo di questo periodo e una volta passato ce se ne dimentichi rapidamente. Già adesso sinceramente, pur all’interno di questo contesto, vedo fortissimi rischi nell’allargare la distanza con i più fragili.  Sia a livello macro che vicino a noi.

Sono famose le immagini dei senza dimora dislocati, in assenza di soluzioni alloggiative, bene in ordine dentro le strisce di un parcheggio. Ma non possiamo omettere come anche in alcune città italiane si faccia fatica a dare un riparo, anche per questo periodo, ai tanti che una casa non ce l’hanno. Se non altro perché mai come ora la salute di tutti dipende da quella del singolo.  In generale anche il dibattito per la sanatoria degli immigrati parte troppo spesso da pure constatazioni di mancanza di forza lavoro anziché dalla percezione della tragedia umana passata per costringerli a partire dalla loro terra. Sono del tutto offuscate questioni come quella dei porti chiusi e dei mancati salvataggi in mare, senza parlare delle condizioni di detenzione in Libia.

Non fanno notizia, né l’hanno mai fatta, i profughi pressoché abbandonati in condizioni disumane in alcune isole della Grecia, dove bambini giocano all’interno di ripari fatti in cartone e nylon con il continuo rischio di incendi ed epidemie per l’assenza di condizioni igieniche… Ecco quindi perché vedo un rischio di “abuso” del termine solidarietà: vengono in realtà nascosti altrettanti drammi attuali, che meriterebbero parallele attenzioni e urgenza nella ricerca di possibili percorsi per una soluzione o mitigazione.  

Più vicino a noi l’abuso del termine solidarietà rischia di offuscare, ad esempio, la situazione di tanti bambini e famiglie che hanno difficoltà a seguire lezioni online perché non hanno gli strumenti economici e culturali. Ben vengano gli stanziamenti previsti per l’acquisti di PC e tablet (si parla di 80 milioni), ma lo sforzo è importante che si rivolga per rendere effettiva questa percezione, curandone l’accessibilità e la capacità di fruizione. Ancora meritano una primaria attenzione le famiglie che hanno figli con disabilità: una reale accoglienza e solidarietà dovrebbe cercare percorsi per riprendere i programmi di riabilitazione, cura, sostegno e che funzionerebbero anche come “alleggerimento” per i genitori.

Tutto difficile ma quanto meno nel rappresentare la realtà non ci si deve dimenticare dei cosiddetti “invisibili”. Per cercare di passare da una solidarietà emotiva ad una società giusta ed equa.



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